La consacrazione
Perché consacrare
le campane?
”Affinché si sappia che, come gli uomini, così anche le inanimate cose per ragione della benedizione e consacrazione, addivengono idonee per essere usate nel divino culto”.
Un po' di storia
Dal momento che l’uso delle campane è divenuto generalizzato, esse sono divenute degne del culto divino. Ma perché consacrare le campane? Un liturgista così interpretava: ”Affinché si sappia che, come gli uomini, così anche le inanimate cose per ragione della benedizione e consacrazione, addivengono idonee per essere usate nel divino culto”.
Essendo necessario ungerle col Sacro Crisma, solo un Vescovo può degnamente benedire le campane, né essi possono delegare alcuno senza uno speciale indulto. Il papa Giovanni XIII (965-972) introdusse la benedizione delle campane con un rituale veramente speciale, quando per la prima nel 968 benedisse delle campane; erano le campane della Basilica di San Giovanni in Roma. Quel rito di benedizione fu codificato e da allora migliaia di campane sono state consacrate e benedette.
La nascita di un rito
Il rito, come nel battesimo prevede l’uso dell’acqua benedetta, l’Olio Santo degli infermi, il Santo Crisma e l’imposizione del nome. Si trattò di una vera e propria innovazione liturgica perché la cosa era proibita ai tempi di Carlo Magno.
Ne nacque una lunga querelle, ma alla fine vinse il partito favorevole al battesimo delle campane, giungendo anche a consentire che il rito ammettesse anche padrini e madrine e che vi si utilizzassero l’acqua, il sale, l’aspersorio, gli asciugamani, il vaso dell’olio per gli Infermi, il Sacro Crisma, l’incenso, la mirra, il turibolo col fuoco.
Il Vescovo, con pastorale e vestito di amitto, camice, cingolo, piviale bianco e mitra semplice procede nel rito e per questo la campana deve essere posta in posizione adatta.
Come avviene la consacrazione
Durante il rito il Vescovo reciterà i salmi Miserere, Deus in nomine tuo salvum me fac, Miserere mei, Deus misereatur nostri, Deus in adiutorum meum indende, Inclina Domine auream tuam e il De profundis. nella parte centrale del rito, il Vescovo reciterà i salmi Lauda anima mea dominum,Laudate Doiminum quoniam bonus est, lauda Jerusalem Dominum, Laudate Dominum de coelis, Laudate Dominum in Sanctis eius. La succesiva lavatura significa che ciò che serve al culto deve essere mondo.
Dopo l’inno del Gloria patri l’officiante farà un segno di croce col pollice destro sulla campana, dopo averlo intinto nell’ Olio degli infermi; poi deporrà la mitra e pronuncerà un’orazione in cui prega lo Spirito Santo di santificare la campana che deve dare letizia e speranza ai fedeli. Ci sarà quindi la lettura di un’altra orazione, l’asciugatura del segno di croce fatto, l’intonazione di un’antifona e i Salmo 28. Poi ancora con l’Olio degli infermi il celebrante formerà sette croci sull’esterno della campana e quattro sull’interno; infine sarà il momento dell’incenso, timiana e mirra, mentre dopo l’antifona Deus in Sancto, sarà cantato il Salmo 76. Il Vescovo concluderà con un segno di croce sulla campana.
Perché un rituale così Importante?
Perché la campana è amore, è festa, è richiamo e gioia,
ma anche dolore e conforto per chi crede (…).